mercoledì 6 marzo 2019

Pensando a qualcuno dei tanti oltre lo schermo, penso a loro.
I figli nati in Italia da genitori immigrati. Penso agli adolescenti, in particolare.
La "seconda generazione", quella a metà tra due mondi che si trovano ad incontrarsi e scontrarsi per poterne tirar fuori giovani onesti, forti, capaci di prendersi cura della famiglia.
Ne incontro tanti, ogni giorno.  
Sempre alle prese con molteplici sfide, confrontati coi loro coetanei.
Sono figli del sogno migratorio, la speranza del futuro nel paese d'approdo.
Sono figli di stranieri, con culture spesso lontane da quella del paese ospitante e non raramente guardate come pericolose.
Sono nati in una terra che li considera stranieri, ma il loro sistema culturale è del paese ospitante, la lingua e gli amici pure.
Sono il ponte tra due mondi.
Ma sono anche, semplicemente, adolescenti che stanno cercando la propria identità.
Il problema è trovarla, tra tutto ciò che li circonda.

Infatti, come scrive una ricerca del 2011, se, generalmente, gli immigrati hanno un forte problema di identità, assai diverse sono le strategie identitarie dei loro figli nati o arrivati bambini in Italia.
Il percorso di costruzione dell’identità dell’adolescente, figlio di genitori immigrati, è un viaggio tra perdite e ritrovamento, che nasce e si consolida grazie alla possibilità di riconoscersi in un gruppo, di costruirsi un’identità sociale che condivide aspetti della cultura del passato e del nuovo gruppo di appartenenza: in questo processo sono fondamentali le figure che facilitano la costruzione di questa identità, da un lato i genitori, parenti e conoscenti provenienti dal proprio Paese e dall’altro insegnanti, educatori e gruppo dei pari del Paese di accoglienza.
In questo senso si può parlare positivamente della formazione di un’identità ibrida. (Le seconde generazioni e il problema dell’identità culturale: conflitto culturale o generazionale?; 2011)

Ma perché non si crei un conflitto intergenerazionale, è necessario che i figli e i genitori si vengano incontro: che i genitori lascino i figli vivere appieno il nuovo contesto culturale e che i figli permettano ai genitori di mantenere vive le proprie origini culturali.
E' necessario quindi che la comunità immigrata crei rete attorno ai giovani, per accompagnarli nella formazione identitaria come adolescenti e come figli di immigrati in un paese che ancora fatica a definirli propri cittadini.
Perché è in quella solitudine, che l'identità di questi ragazzi verrà messa in discussione, da influenze culturali ormai normalizzate o da qualche commento affilato.
Una ricerca CNEL del 2011 ci dimostra che i ragazzi di seconda generazione hanno molti amici, possiedono il cellulare, amano la musica e vestire alla moda, navigano su internet. Non vanno in discoteca, non fumano, non bevono, non si fanno le canne, non marinano la scuola e raramente fanno tardi la sera. Si ritengono integrati, si riconoscono nella nostra società molto più dei loro coetanei italiani e credono che la famiglia sia una risorsa per l'integrazione.
E me lo conferma mia sorella, professoressa di una scuola secondaria di primo grado di un piccolo paese della Romagna. I ragazzi figli di stranieri sono i più bravi in classe. Almeno nella sua.

Ma allora perché tanti altri invece vivono conflitti identitari, familiari e sociali spesso drammatici?

Quali sono, al di la' di ricerche sociologiche, i fattori di resilienza, di adattamento all'ambiente, di formazione dell'identità culturale, necessari perché i giovani di seconda generazione "spacchino" e diventino cittadini attivi dell'Italia di domani?



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